Le premesse teoriche al proprio fare, da sempre sospeso tra arte e design, vanno messe in relazione al clima vivace di rottura postradicale operata da Alchimia dalla fine degli anni Settanta nei confronti del funzionalismo ortodosso modernista, e alla vicinanza intellettuale con Alessandro Mendini, quindi all’idea di design che riabilita il decoro e una profonda creatività (liberata) a fondamento del progetto, qui inteso come una girandola sentimentale di forme, colori e azioni, in cui l’uomo e i suoi bisogni atavici sono al centro, ancor primi di quelli materiali….”

Cristina Miglio, Inventario 06

“Con tante stranezze e in mezzo a un divertimento così evidente, davanti ai lavori di Anna Gili esplode un sogno della società borghese: il sogno dell’opera d’arte autonoma.

Il desiderio dei borghesi di esistere da qualche parte in un aldilà ancora lieto lontano dalla vita umiliante, tuttavia ancora l’Altro, appunto l’artefatto come arte e con ciò immagine contraria ai borghesi, dunque da loro adorata come massima espressione e canonizzata, questo desiderio si rivela come splendente rovina.

Come, però, questa speranza ora si volatizza, così si volatizza anche la critica alla borghesia, secondo la quale l’arte garantisce ancora quel resto di possibile radicale resistenza e di utopia in mezzo al trauma quotidiano….”

“…Con i lavori di Anna Gili, come con altri lavori della nuova generazione-si spacca il sogno, si smaschera l’autonomia dell’opera d’arte come pura menzogna vitale nella vita borghese, poiché qui quella storia viene eliminata con un’ovvietà quasi inconcepibile.

Poiché ora si dissolvono i confini tra arti libere e applicate, tra ciò che è serio e dilettevole, razionale ed emozionale, tra l’atto del guardare e dell’usare. Adesso quindi tutto si riunisce in un empirismo vivo….” 

Prof. Michael Erloff, Anna Gili Mental Body book

Le premesse teoriche al proprio fare, da sempre sospeso tra arte e design, vanno messe in relazione al clima vivace di rottura postradicale operata da Alchimia dalla fine degli anni Settanta nei confronti del funzionalismo ortodosso modernista, e alla vicinanza intellettuale con Alessandro Mendini, quindi all’idea di design che riabilita il decoro e una profonda creatività (liberata) a fondamento del progetto, qui inteso come una girandola sentimentale di forme, colori e azioni, in cui l’uomo e i suoi bisogni atavici sono al centro, ancor primi di quelli materiali….”

“Con tante stranezze e in mezzo a un divertimento così evidente, davanti ai lavori di Anna Gili esplode un sogno della società borghese: il sogno dell’opera d’arte autonoma.

Il desiderio dei borghesi di esistere da qualche parte in un aldilà ancora lieto lontano dalla vita umiliante, tuttavia ancora l’Altro, appunto l’artefatto come arte e con ciò immagine contraria ai borghesi, dunque da loro adorata come massima espressione e canonizzata, questo desiderio si rivela come splendente rovina.

Come, però, questa speranza ora si volatizza, così si volatizza anche la critica alla borghesia, secondo la quale l’arte garantisce ancora quel resto di possibile radicale resistenza e di utopia in mezzo al trauma quotidiano….”

“…Con i lavori di Anna Gili, come con altri lavori della nuova generazione-si spacca il sogno, si smaschera l’autonomia dell’opera d’arte come pura menzogna vitale nella vita borghese, poiché qui quella storia viene eliminata con un’ovvietà quasi inconcepibile.

Poiché ora si dissolvono i confini tra arti libere e applicate, tra ciò che è serio e dilettevole, razionale ed emozionale, tra l’atto del guardare e dell’usare. Adesso quindi tutto si riunisce in un empirismo vivo….” 

Prof. Michael Erloff, Anna Gili Mental Body book